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92 vittorio alfieri


Torno a Sole; di cui molto mi affanna
Quella gamba di dreto così grossa,
Che un cotal po’ pur sua bellezza appanna;

Non sua bontà; ch’ei con la stessa possa
E sale e scende e trotta e salta e corre;
Assai più l’affatica, e meno ingrossa.

Ma spero che tal macchia abbiangli a tôrre
Otto o dieci spalmate dell’unguento
Che l’ossa infino alle midolle scorre.

Il mal vien presto, e se ne va poi lento:
E’ ci vuol flemma; e, de’ due giorni l’uno,
Dare a Giannin questo divertimento.

Ei porrà il guanto, se lo osserva alcuno;
Ma, s’egli è sol, potrà far anche senza:
Dei due può far non ne guarisca niuno?

Finchè dura il fregare, abbi avvertenza
Che fredd’acqua la parte mai non tocchi:
Del resto lascia far la provvidenza.

Fin qui il mio chiacchierar par che trabocchi
D’un discreto ricordo un po’ i confini:
Ma questi sei destrier sono i miei occhi.

Ora a fretta, con pochi versuccini,
Dei be’ nove castagni disbrigarmi
Spero, e di noia trarre il Gandellini.

Dal mio tèma non vo’ più dilungarmi:
E in prova io ti vo’ dir ch’egli è gran danno
Che non usin più carri in fatti d’armi;

Ch’io certo arrecherei mortale affanno
A chi tentasse all’accoppiata foga
Di questi miei por fren con forza o inganno.

Leone, a chi il primato ben si arroga,
È quell’altero, non stellato in fronte,
Che con Toro a timon sempre si aggioga.

Sani entrambi: ma Toro avrà più pronte
L’ali, se togli a lui d’inutil carne
Libbre assai che in Leon fien meglio impronte.

Brillante anch’ei potrà molte acquistarne,
Senza che all’alta mole sua disdica:
Ma non saprei da qual degli altri trarne.

Bell’Aria è il suo fratel che ha tanto amica
Dell’uom la faccia; e in sue fattezze grosse
«Sono un minchion,» par veramente ei dica.