Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu/109

Da Wikisource.

quinta 87

Dal losco Duce dell’ostil Cartago,
     E i Veliterni colli, e d’Anzio il porto,
     216Che serbò il nome, e non l’antica immago,
E il mar, che spesso ha del Vesuvio assorto
     Gl’ignei torrenti, e Lipari, che oscura
     219L’aere col fumo di sotterra sorto;
Poi sorvolando all’ultima pianura,
     Di Calabria pervenne ai lidi estremi,
     222E del Giulíaco Reggio entro le mura.
Sembráro allor del natío foco scemi
     I destrier, che scendendo a lento passo
     225Lasciár dell’aure i vortici supremi;
Ma la mia Guida, il tardo moto al basso
     Piano, disse, è voler di chi li regge,
     228Non dei corsier pigro vigore, o lasso,
Perchè tu vegga un loco, in cui sul gregge
     In parte infido il gran Pastore eterno
     231Vendicherà la profanata Legge.
Non che questo più ch’altro empio governo
     Fésse dell’amor suo; ma tanto lutto
     234Sua pietà chiese al suo rigor paterno.
Il funereo vapor per vie condutto
     Ascose assalirà la terra infausta,
     237Benchè divisa da sì largo flutto;
E dove ora a lei splende amica e fausta
     Luce del Ciel, fia in breve ogni pupilla
     240Pel troppo lagrimar di pianto esausta.
Io, che in quella mirai gente tranquilla,
     O fra i grati ozj, o fra le vane cure
     243Nulla del morbo reo serper favilla,
Esclamai sospirando: Oh cieche, oscure
     Umane menti, cui non mai si schiude
     246L’avvenir carco delle pene dure!