Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu/110

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Come fuggon di lor delizia ignude
     Ratto l'immagin dolci! E come breve
     249Gaudio lunga tristezza e morte chiude!
In così dir a poco a poco il lieve
     Fulgido cocchio scorso era là dove
     252Le prime onde marine il lido beve,
E già i destrier fean lor mirabil prove
     Tentando il Faro; e allor: Frena, gridai,
     255Ch’io scopro cose oltre natura nove,
Frena i corsieri, e ai miei visivi rai
     Lascia, o Donna celeste, aperto il varco
     258Di scorger quel, ch’io non vedrò più mai.
Ella il morso di schiume ardenti carco
     Stringendo, sì affrenolli in un momento,
     261Che ne incurvò più i colli arditi in areo.
Null’aria commovea l’acque, nè vento;
     Pur gonfio il mar Sicano insorse e nero,
     264E il Càlabro spianossi, e qual argento
Lustro fosse, di sè fe’ specchio vero
     Colla cima erta sul Trinacrio lido,
     267E il basso piè nell’Italo sentiero.
In questo pel chiaror cristallo fido
     Tante immagin vid’io, che all’Alma parve,
     270Che l'occhio fosse in presentarle infido.
D’infinite colonne un lungo apparve
     Ordin egual, ma in un baleno monche
     273Sembràr, che la metà somma disparve;
E in quella parte, ove rimaser tronche,
     Si piegàr tutte, e di sè fér molt’archi
     276Rozzi, e simili a quei delle spelonche,
Che si mostrèro all’improvviso carchi
     Di vaghissime torri e di castella;
     279E anch’esse qual fumo, che l’aria varchi,