Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu/114

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Le armoniose canne taciturne;
     E senza l’immortal Vittima l'are,
     381E senza nenie pie le squallid’urne.
Con Lei, che a me non altrui vista appare,
     Io giunsi al fin della funèbre strada
     384Fra immagin pel doglioso ordin sì amare.
Ivi cangiando via non si dirada,
     Anzi cresce l'orror, cui non contrasta
     387Alma ancor forte, e in rimembrarlo agghiada.
In mezzo a valle solitaria e vasta
     Stridea scoppiando fra le vampe ingorde
     390Di cento adusti ceppi ampia catasta.
Con picche armate in ferro adunco, e lorde
     Di melma tratti eran que’ corpi al rogo,
     393Cui più vita sì dura il cor non morde:
Sacerdoti e fanciulle, e quei, che il giogo
     Marital strinse, ignudi, e insiem confusi,
     396Da vicin tolti, e da rimoto luogo:
E fra questi (ah! chi fia che adombri, o scusi
     D’alta necessitate il gran delitto?)
     399Vivi, che ancor movean gli occhi non chiusi,
Ma palpitanti col ronciglio fitto
     Nella gola i sospir versando, e il sangue
     402Dal collo in sì crudel foggia trafitto.
Strascinata ogni Donna ed Uom esangue
     Ad arder con pietà tanto inumana.
     405Come striscia per terra ignobil angue,
La faccia avea deformemente strana,
     E questa sì, che non serbava alcuna
     408Orma in sé lieve di sembianza umana.
Sorta era già quella, che il mondo imbruna:
     Pur le tenebre sue folte allumava
     411L’ardor dei roghi, e la splendente luna.