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sesta 115

Poiché Donna celeste esser m’accorsi
     Di stelle cinta la crinita testa,
     381Col guardo a vagheggiarla avido corsi.
Ella avea lunga ed aggirevol vesta,
     Che scendendole in giù fra il seno e i fianchi,
     384D’auree fila del Sole era contesta:
Premea con un de’ piè, qual neve bianchi,
     La risplendente luna e il Serpe antico,
     387Che in morder l’Uom par che non mai si stanchi.
Divino il volto e di pietade amico,
     Divini gli occhi, ed il virgineo riso
     390Divinamente in lampeggiar pudico.
Le splendea tutto in fronte il Paradiso,
     Sì che Marianna al paragon più chiaro
     393Era presso un fior vivo un fior reciso.
Il santo volto in sua beltà sì raro
     Di tanta caritade il cor m’empieo,
     396Che l’ossa e le midolle arserne al paro;
E tal crebbe 1’ardor, cui non poteo
     Regger la salma, che, bench’ella fusse
     399Terrena, egual ne’ moti a lui si feo,
E questo agile al vol sì la ridusse,
     Che la portò fin dove il monte arriva,
     402Mentr’egli al cenno suo si ricondusse.
Giunto al sommo ch’io fui, credei che priva
     L’Alma del velo fral gioir dovesse
     405Beata ognor presso l’amabil Diva;
Quand’ella con un sol guardo, che impresse
     Negli occhi miei, la trista serie e lunga
     408Di sua pietade e de’ miei falli espresse.
Quel guardo mi spiegò, com’ella aggiunga
     Al più tenero amor materna cura,
     411E quanto per l’Uom reo pensier la punga.