Son quel desso, ei rispose. A me prescritto
Fu dal sommo Voler, che io queste piagge 177Féssi dalle beate aure tragitto,
Perchè con miglior lume il tuo s’irragge
Fosco pensar, mentre uno spirto stesso 180Me di là muove, e te quassù pur tragge.
Ben nel gioir al divo fonte appresso
Del valor vero in sì felice seggio 183So quanto altrui ne puote esser concesso;
E nell’immensa Deitade io veggio
Chi mi prestò l’insuperabil forza, 186Cui lo splendor di mie vittorie io deggio.
Tu ignori onde l’ardir s’infiamma, o ammorza;
E all’umano poter la gloria ascrivi, 189Chè non pregi nel frutto altro che scorza.
Or agl’infermi tuoi raggi visivi
Giungo, e all’orecchio fral virtù divina, 192Tal che pari non l’abbia alcun fra i vivi.
Già ti stan destre irate, a cui destina
O palma, o strage il Ciel, davanti agli occhi, 195E l’orribile pugna è omai vicina.
Allor la man mi strinse, e sentii tocchi,
Come da un urto acuto, i nervi, e dalle 198Fiamme, che ferro elettrizzato scocchi.
Ma parvi a me di me maggior. Le spalle
Volsi al meriggio, e indirizzai gli sguardi 201Fra un ampio monte, e la soggetta valle,
Ove credei tra folte armi e stendardi
Le prime rimirar guerriere prove; 204Quando il Duce mi disse: E dove guardi?
Guardo, risposi, là donde si move
Selva d’insegne al vento. Egli riprese: 207Altro principio ha la battaglia altrove;