Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu/245

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undecima 223

Tu il sai, che i sospir dolci e le querele
     Tenere odiai. Ah! che a te solo fui,
     282Ma non a me, quant’io dovea, crudele.
Non furor mio, non l’Angel reo co’ bui
     Moti, onde l’Alma a Dio ribelle ancide,
     285Me vinse; anzi onta e scorno accrebbi a lui;
Ch’io serbai voglie castamente fide
     A quel Divo Amator, che la sua luce
     288Per seguir Lui larga su noi divide.
Pur la nebbia, che il cor molle produce,
     L’Anima invase; ed io spruzzata giacqui
     291Da ruggin leve, ove ragion più luce:
L’error conobbi; e benché a Dio nol tacqui,
     Col fonte nol purgai del pianger santo,
     294E in ben oprar troppo a me incauta io piacqui.
Or poiché siedo ai nudi Spirti accanto,
     Trafitta io son da acuta fiamma eletta
     297A terger quel, che non lavò il mio pianto.
Nol ti dirò, qual da tai vampe stretta
     Crudo io provai martìr; chè la tua mente
     300Per così atroce idea troppo è ristretta.
Ma quai dirotte lagrime repente
     Inondan le tue gote? e qual dintorno
     303Fiato sprigioni di sospiri ardente?
M’invidj forse tu l’eterno giorno?
     O temi per l’ardor, che in me s’aggira,
     306Che sia funesto il loco, ov’io soggiorno?
Datti pace, se questo il duol ti spira;
     Ch’ivi squallor non àvvi, e non pupilla
     309Gonfia di lutto, e non lamento ed ira;
Ma nell’infiammatrice alta favilla
     Cara a Dio stommi ubbidiente ancella
     312Fra il mio piacer e il mio dolor tranquilla.