E libertà, che il ben elegge, è merto,
Perchè il motor de’ corpi ai corpi unisce 411Legge tal, che gli sforza a un ordin certo;
Ma gli arbitrj dell’Alma anzi abbellisce
Co’ lumi suoi, che sovra lei rivolse, 414E la invita a que’ rai, non la rapisce.
Questa il mio spirto ne’ verd’anni accolse
Grazia del Ciel, per cui tenero spinsi 417Il piè sul cammin aspro, ov’ella il volse.
Tenacemente a questa io sì mi strinsi,
Che a schivo ebbi i piacer di fango aspersi, 420E con ferrate spine i lombi io cinsi:
Per essa gli occhi e i miei pensier conversi
Alle dure vigilie e al pianto io tenni, 423E il pianto e il duro vigilar soffersi:
Con lei dal Lazio, ove orator sostenni
Le sacre leggi, al nido, in cui già nacqui, 426La mia diletta greggia a pascer venni:
Per lei le ingiurie, onde segnato giacqui,
Qual uom, cui di ragion mancan gli uffici, 429Mi furo dolci e care; e muto io tacqui.
Questa poi, che alte in me pose radici,
Empiè le mie d’amor opre e parole 432Pei cor ingrati; ed io gli amai nemici.
Rapito alfin, come colomba suole
Dalla nebbiosa valle ergersi fuori, 435Cercando aere miglior, che la console,
Salii nel cerchio de’ beati Cori,
Ove grazie ai sospir rendo, che in terra 438Fur l’esca amara de’ miei dì migliori.
Le rendo al mio squallor, che dee sotterra
La sua cangiar nel sole ombra notturna; 441Le rendo a quei, che mi dier tanta guerra;