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336 l’imperio degl’incas

dove esse hanno maggiormente fiorito. Non avviene così di rado che uomini di privata condizione trasportati dall’ardore del loro ingegno o tronfi della lor dottrina, vogliano inframettersi a ventilare quelle materie di somma dilicatezza e sdegnosità, sulle quali posano i cardini dello stato. Dal che ne nasce che la obbedienza alle leggi e la riverenza alle opinioni necessarie al bene dei sudditi viene ad essere contrariata e indebolita dalle discussioni filosofiche; e ordinariamente gli uomini finiscono di esser buoni, quando i dotti incominciano a far figura. Non ci è quasi persona di senno tra noi, la quale di una gran parte dei libri, e di quelli segnatamente onde tanto ingombrato è il mondo e tanto ne sono intorbidate le menti, non desiderasse che in Europa se ne facesse quello che della biblioteca di Alessandria fece Omar in Egitto; né assegnar se ne potrebbe una miglior ragione di quella che ne assegnò quello indotto bensì, ma savio conquistatore. La scienza era dagl’Incas generalmente interdetta al popolo, come uno arcano dell’imperio; gliene faceano soltanto parte, quando il credeano necessario, per via di leggi che quasi una voce scagliata dal cielo comandavano, non davan luogo a dispute1; ed essi volevano che la virtù si praticasse, non si studiasse dai sudditi.

Le sole cose nelle quali gli volevano addottrinati, erano le arti manuali e meccaniche: esercitando queste il corpo e facendolo robusto, gli distoglievano dal mulinare contro allo stato; anzi gli rendevano utili allo stato medesimo. E non si può dire abbastanza quanta cura ponessero in questo quei principi, e come riuscir la vedessero a buon fine. Coloro che, dimorati lungo tempo in America hanno potuto conoscere a prova quanto i Peruani sono naturalmente d’ingegno addormentato e la più parte stupidi, sono forzati di confessare i miracoli che può operare la legislatura. Chi potria credere che una tal nazione abbia uguagliato i popoli d’ingegno più svegliato e i più consumati nelle arti? La prima nudrice di tutte le altre, l’agricoltura,

  1. «Legem perbrevem esse oportet quo facilius ab imperitis teneatur, velut emissa de coelo vox sit: iubeat non disputet» etc.: Seneca, Ep. XCIV.