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Dialogo Quarto. 157

nente fgombri, e mi faccia a novella vita rinaicere in Filofofia.

Un raggio dì luce, ripigliai io, ficco me I altro giorno ave* incominciato a dirvi, per quanto fottiìe egli fia, altro non è che un frfcetto d infiniti altri raggi, i quali non fon già tutti del medcfimo colore, benché tutto il raggio ci paja bianco; ma alcuni fono ceffi, alcuni altri aranci, altri gialli, altri verdi, altri azzurri, altri indachi, altri violetti, con infiniti gradi di colori intermedi tra gli uni e gli altri di quelli fette principali. Qutili raggi adunque di differenti colon che ii chiamano primitivi ovvero omogenei meicolati infume compongono un raggio eterogeneo, c compofio, com’è un raggio di Sole di color bianco, o più tolto di un colore, che pende all’aureo; in quella maniera appunto, che varj colon mefcolati infieme fu Ila tavolozza d’un Pittore compongono un nuovo colore, che partecipa di tutti, ma che è differente da ciafeuno in particolare. Quindi quel Poeta che più che allo fiiìe, alla itima che à per voi riconofeiuto avete, chiama la luce aurata, e Settemplice, come del Nilo fi dice, e degli feudi degli Eroi guerrieri. Ella e dcgl.infiniti colori, onde queiV Univerfo fi dipinge luffureggiante teforo, e i fuoi raggi non già di porpora, o di zaffiro al rifranger d’un prifma, o al rifletter d’una fuperfìcie fi tingono, ma dal feno ideilo del Sole col calore, e col lume feco portano il colore, benché dagli occhi volgari non veduto.

In somma, un raggio fi può confiderare come