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Dialogo Primo. 23

dotta maninconia degli abitatori dell’Isola volante del Dottor Swift, il quale nelle più poetiche allegorie del Mondo ci â dato la più filosofica satira della Natura umana? Questa sua Isola, detta nel linguaggio del Paese Laputa, siccome differente ella è da quante sono state fin ora da’ nostri Viaggiatori scoperte, così pure da una specie singolare d’uomini ella è abitata. Raccolti mai sempre in se stessi, e immersi nelle più cupe meditazioni non respirano che tristezza e Matematica, ed an bisogno d’aver sempre allato un destatore, che con una vescica percuotendoli, a questa vita di tratto in tratto li richiami. La scienza loro li riempie di spasimi e di paure, dalle quali è libero il volgo mercè la sua felice ignoranza. Temono che una Cometa, che si avvicini un po’ troppo alla Terra, non ci riduca in un pugno di cenere: che il Sole un giorno o l’altro non c’inghiottisca, o che esaurendosi alla fine quella immensa miniera di luce e di calore, non restiamo inviluppati ed immersi in una profonda, ed eterna notte. Non si direbbe egli, o Madama, sentir voi un poco ne’ vostri timori della Scuola Lapuziana? Per lo Destatore, rispos’ella, sopra tutto allora che farò con voi; io non ne sentirò nè poco, nè molto. Ma la terribil minaccia d’una notte eterna non vi par egli forse che meriti un po’ di timore? E non dovreste voi anzi sapermi buon grado, che io prenda tanta parte nella Luce, che è pure il vostro Eroe? Egli saria vergognoso, che io m’impegnassi più per essa, e l’amassi meglio che non fate per avven-