Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/119

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inferno - canto xxvi 113

     come la mosca cede a la zanzara,
vede lucciole giú per la vallea,
30forse colá dov’e’ vendemmia e ara:
     di tante fiamme tutta risplendea
l’ottava bolgia, sí com’io m’accorsi
33tosto che fui lá ’ve ’l fondo parea.
     E qual colui che si vengiò con li orsi
vide ’l carro d’Elia al dipartire,
36quando i cavalli al cielo erti levorsi,
     che nol potea sí con li occhi seguire,
ch’el vedesse altro che la fiamma sola,
39sí come nuvoletta, in su salire;
     tal si move ciascuna per la gola
del fosso, ché nessuna mostra il furto,
42e ogni fiamma un peccatore invola.
     Io stava sovra ’l ponte a veder surto,
sí che s’io non avessi un ronchion preso,
45caduto sarei giú senz’esser urto.
     E ’l duca, che mi vide tanto atteso,
disse: «Dentro dai fuochi son li spirti;
48ciascun si fascia di quel ch’elli è inceso».
     «Maestro mio,» rispos’io «per udirti
son io piú certo; ma giá m’era avviso
51che cosí fosse, e giá voleva dirti:
     chi è in quel foco che vien sí diviso
di sopra, che par surger de la pira
54dov’Eteòcle col fratel fu miso?»
     Rispose a me: «Lá dentro si martira
Ulisse e Diomede, e cosí insieme
57a la vendetta vanno come a l’ira;
     e dentro da la lor fiamma si geme
l’agguato del caval che fe’ la porta
60onde uscí de’ Romani il gentil seme.
     Piangevisi entro l’arte per che, morta,
Deidamía ancor si duol d’Achille,
63e del Palladio pena vi si porta».