Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/137

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inferno - canto xxx 131

     L’ursa giunse a Capocchio, e in sul nodo
del collo l’assannò, sí che, tirando,
30grattar li fece il ventre al fondo sodo.
     E l’Aretin, che rimase, tremando
mi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi,
33e va rabbioso altrui cosí conciando».
     «Oh!» diss’io «se l’altro non ti ficchi
li denti a dosso, non ti sia fatica
36a dir chi è, pria che di qui si spicchi».
     Ed elli a me: «Quell’è l’anima antica
di Mirra scellerata, che divenne
39al padre fuor del dritto amore amica.
     Questa a peccar con esso cosí venne,
falsificando sé in altrui forma,
42come l’altro che lá sen va, sostenne,
     per guadagnar la donna de la torma,
falsificare in sé Buoso Donati,
45testando e dando al testamento norma».
     E poi che i due rabbiosi fur passati
sovra cu’ io avea l’occhio tenuto,
48rivolsilo a guardar li altri mal nati.
     Io vidi un fatto a guisa di leuto,
pur ch’elli avesse avuta l’anguinaia
51tronca de l’altro che l’uomo ha forcuto.
     La grave idropesí, che sí dispaia
le membra con l’omor che mal converte,
54che ’l viso non risponde a la ventraia,
     faceva lui tener le labbra aperte
come l’etico fa, che per la sete
57l’un verso il mento e l’altro in su rinverte.
     «O voi che senz’alcuna pena siete,
e non so io perché, nel mondo gramo,»
60diss’elli a noi «guardate e attendete
     a la miseria del maestro Adamo:
io ebbi vivo assai di quel ch’i’ volli,
63e ora, lasso! un gocciol d’acqua bramo.