Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/139

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inferno - canto xxx 133

     E l’un di lor, che si recò a noia
forse d’esser nomato sí oscuro,
102col pugno li percosse l’epa croia.
     Quella sonò come fosse un tamburo;
e mastro Adamo li percosse il volto
105col braccio suo, che non parve men duro,
     dicendo a lui: «Ancor che mi sia tolto
lo muover per le membra che son gravi,
108ho io il braccio a tal mestiere sciolto».
     Ond’ei rispose: «Quando tu andavi
al fuoco, non l’avei tu cosí presto:
111ma sí e piú l’avei quando coniavi».
     E l’idropico: «Tu di’ ver di questo:
ma tu non fosti sí ver testimonio
114lá ’ve del ver fosti a Troia richiesto».
     «S’io dissi falso, e tu falsasti il conio»
disse Sinone; «e son qui per un fallo,
117e tu per più ch’alcun altro demonio!»
     «Ricorditi, spergiuro, del cavallo»
rispose quel ch’aveva infiata l’epa;
120«e sieti reo che tutto il mondo sallo!»
     «E te sia rea la sete onde ti crepa»
disse ’l greco «la lingua, e l’acqua marcia
123che ’l ventre innanzi li occhi sí t’assiepa!»
     Allora il monetier: «Cosí si squarcia
la bocca tua per tuo mal come suole;
126ché s’i’ ho sete e umor mi rinfarcia,
     tu hai l’arsura e ’l capo che ti dole;
e per leccar lo specchio di Narcisso,
129non vorresti a ’nvitar molte parole».
     Ad ascoltarli er’io del tutto fisso,
quando ’l maestro mi disse: «Or pur mira!
132ché per poco è che teco non mi risso».
     Quand’io ’l senti’ a me parlar con ira,
volsimi verso lui con tal vergogna,
135ch’ancor per la memoria mi si gira.