Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/147

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inferno - canto xxxii 141

     E come a gracidar si sta la rana
col muso fuor de l’acqua, quando sogna
33di spigolar, sovente, la villana;
     livide, insin lá dove appar vergogna
eran l’ombre dolenti nella ghiaccia,
36mettendo i denti in nota di cicogna.
     Ognuna in giú tenea volta la faccia:
da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo
39tra lor testimonianza si procaccia.
     Quand’io m’ebbi dintorno alquanto visto,
volsimi a’ piedi, e vidi due sí stretti,
42che ’l pel del capo avieno insieme misto.
     «Ditemi voi, che sí strignete i petti,»
diss’io «chi siete?» E quei piegaro i colli;
45e poi ch’ebber li visi a me eretti,
     li occhi lor, ch’eran pria pur dentro molli,
gocciar su per le labbra, e ’l gelo strinse
48le lacrime tra essi e riserrolli.
     Con legno legno spranga mai non cinse
forte cosí; ond’ei come due bécchi
51cozzato insieme, tanta ira li vinse.
     E un ch’avea perduti ambo li orecchi
per la freddura, pur col viso in giúe,
54disse: «Perché cotanto in noi ti specchi?
     Se vuoi saper chi son cotesti due,
la valle onde Bisenzo si dichina
57del padre loro Alberto e di lor fue.
     D’un corpo usciro; e tutta la Caina
potrai cercare, e non troverai ombra
60degna piú d’esser fitta in gelatina:
     non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra
con esso un colpo per la man d’Artú;
63non Focaccia; non questi che m’ingombra
     col capo sí, ch’i’ non veggio oltre piú,
e fu nomato Sassol Mascheroni:
66se tosco se’, ben sai omai chi fu.