Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/148

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142 la divina commedia

     E perché non mi metti in piú sermoni,
sappi ch’io fu’ il Camicion de’ Pazzi;
69e aspetto Carlin che mi scagioni».
     Poscia vid’io mille visi cagnazzi
fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
72e verrá sempre, de’ gelati guazzi.
     E mentre ch’andavamo inver lo mezzo
al quale ogni gravezza si rauna,
75e io tremava ne l’eterno rezzo;
     se voler fu o destino o fortuna,
non so; ma, passeggiando tra le teste,
78forte percossi il piè nel viso ad una.
     Piangendo mi gridò: «Perché mi peste?
se tu non vieni a crescer la vendetta
81di Montaperti, perché mi moleste?»
     E io: «Maestro mio, or qui m’aspetta,
sí ch’io esca d’un dubbio per costui;
84poi mi farai, quantunque vorrai, fretta».
     Lo duca stette; e io dissi a colui
che bestemmiava duramente ancora:
87«Qual se’ tu che cosí rampogni altrui?»
     «Or tu chi se’ che vai per l’Antenora,
percotendo» rispose «altrui le gote,
90sí che, se fossi vivo, troppo fòra?»
     «Vivo son io, e caro esser ti puote,»
fu mia risposta «se dimandi fama,
93ch’io metta il nome tuo tra l’altre note».
     Ed elli a me: «Del contrario ho io brama;
lèvati quinci e non mi dar piú lagna,
96ché mal sai lusingar per questa lama!»
     Allor lo presi per la cuticagna,
e dissi: «El converrá che tu ti nomi
99o che capel qui su non ti rimagna».
     Ond’elli a me: «Perché tu mi dischiomi,
né ti dirò ch’io sia, né mostrerolti,
102se mille fiate in sul capo mi tomi».