Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/149

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inferno - canto xxxii 143

     Io avea giá i capelli in mano avvolti,
e tratti lien’avea piú d’una ciocca,
105latrando lui con li occhi in giú raccolti,
     quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca?
non ti basta sonar con le mascelle,
108se tu non latri? qual diavol ti tocca?»
     «Omai» diss’io «non vo’ che tu favelle,
malvagio traditor; ch’a la tua onta
111io porterò di te vere novelle».
     «Va via!» rispose «e ciò che tu vuoi, conta;
ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
114di quel ch’ebbe or cosí la lingua pronta.
     El piange qui l’argento de’ Franceschi:
‘Io vidi’ potrai dir ‘quel da Duera
117lá dove i peccatori stanno freschi’.
     Se fossi domandato: ‘altri chi v’era’?
tu hai da lato quel di Beccheria
120di cui segò Fiorenza la gorgiera.
     Gianni de’ Soldanier credo che sia
piú lá con Ganellone, e Tebaldello
123ch’aprí Faenza quando si dormía».
     Noi eravam partiti giá da ello,
ch’io vidi due ghiacciati in una buca,
126sí che l’un capo a l’altro era cappello;
     e come ’l pan per fame si manduca,
cosí ’l sovran li denti a l’altro pose
129lá ’ve ’l cervel s’aggiugne con la nuca:
     non altrimenti Tideo si róse
le tempie a Menalippo per disdegno,
132che quei faceva ’l teschio e l’altre cose.
     «O tu che mostri per sí bestial segno
odio sovra colui che tu ti mangi,
135dimmi ’l perché» diss’io «per tal convegno;
     ché se tu a ragion di lui ti piangi,
sappiendo chi voi siete e la sua pecca,
138nel mondo suso ancora io te ne cangi,
     se quella con ch’io parlo non si secca».