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150 la divina commedia

     che’ giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant’esser dée quel tutto
33ch’a cosí fatta parte si confaccia.
     S’el fu sí bel com’elli è ora brutto,
e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
36ben dée da lui proceder ogni lutto.
     Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand’io vidi tre facce a la sua testa!
39L’una dinanzi, e quella era vermiglia;
     l’altr’eran due, che s’aggiugnieno a questa
sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla,
42e sé giugnieno al luogo de la cresta:
     e la destra parea tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
45vegnon di lá onde ’l Nilo s’avvalla.
     Sotto ciascuna uscivan due grand’ali,
quanto si convenía a tanto uccello:
48vele di mar non vid’io mai cotali!
     Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
51sí che tre venti si movean da ello:
     quindi Cocito tutto s’aggelava;
con sei occhi piangea, e per tre menti
54gocciava ’l pianto e sanguinosa bava.
     Da ogni bocca dirompea co’ denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
57sí che tre ne facea cosí dolenti.
     A quel dinanzi il mordere era nulla
verso ’l graffiar, che tal volta la schiena
60rimanea de la pelle tutta brulla.
     «Quell’anima lá su c’ha maggior pena»
disse ’l maestro «è Giuda Scariotto,
63che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
     De li altri due c’hanno il capo di sotto,
quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
66vedi com’e’ si storce e non fa motto!