Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/157

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inferno - canto xxxiv 151

     e l’altro è Cassio che par sí membruto.
Ma la notte risurge, e oramai
69è da partir, ché tutto avem veduto».
     Com’a lui piacque, il collo li avvinghiai:
ed el prese di tempo e luogo poste;
72e quando l’ali furo aperte assai,
     appigliò sé a le vellute coste;
di vello in vello giú discese poscia
75tra ’l folto pelo e le gelate croste.
     Quando noi fummo lá dove la coscia
si volge, a punto in sul grosso de l'anche,
78lo duca, con fatica e con angoscia,
     volse la testa ov’elli avea le zanche,
e aggrappossi al pel com’uom che sale,
81sí che ’n inferno i’ credea tornar anche.
     «Attienti ben, ché per cotali scale»
disse ’l maestro, ansando com’uom lasso,
84«conviensi dipartir da tanto male».
     Poi uscí fuor per lo foro d’un sasso,
e pose me in su l'orlo a sedere;
87appresso porse a me l’accorto passo.
     Io levai li occhi, e credetti vedere
Lucifero com’io l'avea lasciato,
90e vidili le gambe in su tenere;
     e s’io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
93qual è quel punto ch’io avea passato.
     «Lèvati su» disse ’l maestro «in piede:
la via è lunga e ’l cammino è malvagio,
96e giá il sole a mezza terza riede».
     Non era caminata di palagio
lá ’v’eravam, ma natural burella
99ch’avea mal suolo e di lume disagio.
     «Prima ch’io de l’abisso mi divella,»
maestro mio,» diss’io quando fui dritto
102«a trarmi d’erro un poco mi favella: