Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/158

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152 la divina commedia

     ov’è la ghiaccia? e questi com’è fitto
sí sottosopra? e come, in sí poc’ora,
105da sera a mane ha fatto il sol tragitto?»
     Ed elli a me: «Tu imagini ancora
d’esser di lá dal centro, ov’io mi presi
108al pel del vermo reo che ’l mondo fóra.
     Di lá fosti cotanto quant’io scesi:
quand’io mi volsi, tu passasti ’l punto
111al qual si traggon d’ogni parte i pesi;
     e se’ or sotto l’emisperio giunto
ch’è opposito a quel che la gran secca
114coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto
     fu l’uom che nacque e visse senza pecca:
tu hai i piedi in su picciola spera
117che l’altra faccia fa de la Giudecca.
     Qui è da man, quando di lá è sera:
e questi, che ne fe’ scala col pelo,
120fitto è ancora sí come prim’era.
     Da questa parte cadde giú dal cielo;
e la terra, che pria di qua si sporse,
123per paura di lui fe’ del mar velo,
     e venne a l’emisperio nostro; e forse
per fuggir lui lasciò qui ’l luogo vòto
126quella ch’appar di qua, e su ricorse».
     Luogo è lá giú da Belzebú remoto
tanto quanto la tomba si distende,
129che non per vista, ma per suono è noto
     d’un ruscelletto che quivi discende
per la buca d’un sasso, ch’elli ha róso,
132col corso ch’elli avvolge, e poco pende.
     Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
135e senza cura aver d’alcun riposo
     salimmo su, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
138che porta ’l ciel, per un pertugio tondo;
     e quindi uscimmo a riveder le stelle.