Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/168

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162 la divina commedia

     Ond’io, ch’era ora a la marina vòlto
dove l’acqua di Tevero s’insala,
102benignamente fu’ da lui ricolto.
     A quella foce ha elli or dritta l’ala,
però che sempre quivi si ricoglie
105quale verso Acheronte non si cala».
     E io: «Se nuova legge non ti toglie
memoria o uso a l’amoroso canto
108che mi solea quetar tutte mie voglie,
     di ciò ti piaccia consolare alquanto
l’anima mia, che, con la mia persona
111venendo qui, è affannata tanto!»
     ‘ Amor che ne la mente mi ragiona
cominciò elli allor sí dolcemente,
114che la dolcezza ancor dentro mi sona.
     Lo mio maestro e io e quella gente
ch’eran con lui parevan sí contenti,
117come a nessun toccasse altro la mente.
     Noi eravam tutti fissi e attenti
a le sue note; ed ecco il veglio onesto
120gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?
     qual negligenza, quale stare è questo?
correte al monte, a spogliarvi lo scoglio
123ch’esser non lascia a voi Dio manifesto».
     Come quando, cogliendo biada o loglio,
li colombi adunati a la pastura,
126queti, senza mostrar l’usato orgoglio,
     se cosa appare ond’elli abbian paura,
subitamente lasciano star l’esca,
129perch’assaliti son da maggior cura;
     cosí vid’io quella masnada fresca
lasciar lo canto, e gire inver la costa,
132com’uom che va, né sa dove riesca:
     né la nostra partita fu men tosta.