Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/177

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purgatorio - canto iv 171

     Lá ci traemmo; ed ivi eran persone
che si stavano a l’ombra dietro al sasso
105come l’uom per negghienza a star si pone:
     e un di lor, che mi sembiava lasso,
sedeva e abbracciava le ginocchia,
108tenendo il viso giú tra esse basso.
     «O dolce signor mio,» diss’io «adocchia
colui che mostra sé piú negligente
111che se pigrizia fosse sua serocchia».
     Allor si volse a noi e pose mente,
movendo il viso pur su per la coscia,
114e disse: «Or va tu su, che se’ valente!»
     Conobbi allor chi era, e quella angoscia
che m’avacciava un poco ancor la lena,
117non m’impedí l’andare a lui; e poscia
     ch’a lui fui giunto, alzò la testa a pena,
dicendo: «Hai ben veduto come il sole
120da l’omero sinistro il carro mena?»
     Li atti suoi pigri e le corte parole
mosson le labbra mie un poco a riso;
123poi cominciai: «Belacqua, a me non duole
     di te omai; ma dimmi, perché assiso
quiritta se’? attendi tu iscorta,
126o pur lo modo usato t’ha’ ripriso?»
     Ed elli: «O frate, l’andar su che porta?
ché non mi lascerebbe ire a’ martiri
129l’angel di Dio che siede in su la porta.
     Prima convien che tanto il ciel m’aggiri
di fuor da essa, quanto fece in vita,
132perch’io indugiai al fine i buon sospiri,
     se orazione in prima non m’aita
che surga su di cuor che in grazia viva:
135l’altra che val, che ’n ciel non è udita?»
     E giá il poeta innanzi mi saliva,
e dicea: «Vienne omai; vedi ch’è tocco
138meridian dal sole, ed a la riva
     cuopre la notte giá col piè Morrocco».