Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/207

Da Wikisource.

purgatorio - canto xi 201

     Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento ch’or vien quinci e or vien quindi,
102e muta nome perché muta lato.
     Che voce avrai tu piú, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
105anzi che tu lasciassi il ‛ pappo ’ e ’l ‛ dindi ’,
     pria che passin mill’anni? ch’è piú corto
spazio a l’eterno, ch’un muover di ciglia
108al cerchio che piú tardi in cielo è torto.
     Colui che del cammin sí poco piglia
dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
111e ora a pena in Siena sen pispiglia,
     ond’era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
114fu a quel tempo sí com’ora è putta.
     La vostra nominanza è color d’erba,
che viene e va, e quei la discolora
117per cui ella esce de la terra acerba».
     E io a lui: «Tuo vero dir m’incora
bona umiltá, e gran tumor m’appiani:
120ma chi è quei di cui tu parlavi ora?»
     «Quelli è» rispose «Provenzan Salvani;
ed è qui, perché fu presuntuoso
123a recar Siena tutta a le sue mani.
     Ito è cosí e va senza riposo,
poi che morí: cotal moneta rende
126a sodisfar chi è di lá troppo oso».
     E io: «Se quello spirito ch’attende,
pria che si penta, l’orlo de la vita,
129qua giú dimora e qua su non ascende,
     se buona orazion lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
132come fu la venuta a lui largita?»
     «Quando viveva piú glorioso,» disse
«liberamente nel Campo di Siena,
135ogni vergogna diposta, s’affisse;