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200 la divina commedia

     ogni uom ebbi in dispetto tanto avante,
ch’io ne mori’; come, i Sanesi sanno
66e sallo in Campagnatico ogni fante.
     Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fe’, ché tutt’i miei consorti
69ha ella tratti seco nel malanno.
     E qui convien ch’io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
72poi ch’io nol fe’ tra’ vivi, qui tra’ morti».
     Ascoltando chinai in giú la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
75si torse sotto il peso che li ’mpaccia,
     e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
78a me che tutto chin con loro andava.
     «Oh!» diss’io lui «non se’ tu Oderisi,
l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte
81ch’alluminar chiamata è in Parisi?»
     «Frate,» diss’elli «piú ridon le carte
che pennelleggia Franco bolognese:
84l’onore è tutto or suo, e mio in parte.
     Ben non sare’ io stato sí cortese
mentre ch’io vissi, per lo gran disio
87de l’eccellenza ove mio core intese:
     di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
90che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
     Oh vana gloria de l'umane posse!
com poco verde in su la cima dura,
93se non è giunta da l’etati grosse!
     Credette Cimabue ne la pintura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
96sí che la fama di colui è scura:
     cosí ha tolto l’uno a l’altro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato
99chi l’uno e l’altro caccerá del nido.