Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/21

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inferno - canto iii 15

     Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattieno i denti,
102ratto che ’nteser le parole crude:
     bestemmiavano Dio e lor parenti,
l’umana spezie, il luogo, il tempo e ’l seme
105di lor semenza e di lor nascimenti.
     Poi si raccolser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
108ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
     Caron dimonio, con occhi di bragia,
loro accennando, tutte le raccoglie;
111batte col remo qualunque s’adagia.
     Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
114vede a la terra tutte le sue spoglie,
     similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
117per cenni, come augel per suo richiamo.
     Cosí sen vanno su per l’onda bruna,
e avanti che sien di lá discese,
120anche di qua nuova schiera s’aúna.
     «Figliuol mio,» disse il maestro cortese
«quelli che muoion ne l’ira di Dio
123tutti convegnon qui d’ogni paese;
     e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona
126sí che la tema si volve in disio.
     Quinci non passa mai anima bona:
e però, se Caron di te si lagna,
129ben puoi sapere omai che ’l suo dir sona».
     Finito questo, la buia campagna
tremò sí forte, che de lo spavento
132la mente di sudore ancor mi bagna.
     La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
135la qual mi vinse ciascun sentimento;
     e caddi come l’uom che ’l sonno piglia.