Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/317

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CANTO I

     La gloria di colui che tutto move
per l’universo penetra, e risplende
3in una parte piú e meno altrove.
     Nel ciel che piú de la sua luce prende
fu’ io, e vidi cose che ridire
6né sa né può chi di lá su discende,
     perché, appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
9che dietro la memoria non può ire:
     veramente quant’io del regno santo
ne la mia mente potei far tesoro,
12sará ora materia del mio canto.
     O buono Apollo, a l’ultimo lavoro
fammi del tuo valor sí fatto vaso,
15come dimandi a dar l’amato alloro:
     infino a qui, l’un giogo di Parnaso
assai mi fu; ma or con amendue
18m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso.
     Entra nel petto mio, e spira tue
sí come quando Marsia traesti
21de la vagina de le membra sue.
     O divina virtú, se mi ti presti
tanto che l’ombra del beato regno
24segnata nel mio capo io manifesti,
     venir vedraimi al tuo diletto legno,
e coronarmi allor di quelle foglie
27che la materia e tu mi farai degno.