Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/404

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398 la divina commedia

     Lume non è, se non vien dal sereno
che non si turba mai; anzi è tenèbra,
66od ombra de la carne, o suo veleno.
     Assai t’è mo aperta la latèbra
che t’ascondeva la giustizia viva,
69di che facéi question cotanto crebra,
     che tu dicevi: ‘ Un uom nasce a la riva
de l’Indo, e quivi non è chi ragioni
72di Cristo, né chi legga né chi scriva;
     e tutti suoi voleri e atti buoni
sono, quanto ragione umana vede,
75senza peccato in vita o in sermoni.
     Muore non battezzato e senza fede:
ov’è questa giustizia che ’l condanna?
78ov’è la colpa sua, se ei non crede? ’
     Or tu chi se’ che vuo’ sedere a scranna,
per giudicar di lungi mille miglia
81con la veduta corta d’una spanna?
     Certo a colui che meco s’assottiglia,
se la Scrittura sovra voi non fosse,
84da dubitar sarebbe a maraviglia.
     Oh terreni animali, oh menti grosse!
la prima volontá, ch’è da sé buona,
87da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse.
     Cotanto è giusto quanto a lei consuona:
nullo creato bene a sé la tira,
90ma essa, radiando, lui cagiona».
     Quale sovresso il nido si rigira
poi c’ha pasciuti la cicogna i figli,
93e come quel ch’è pasto la rimira;
     cotal si fece, e sí levai li cigli,
la benedetta imagine, che l’ali
96movea sospinte da tanti consigli.
     Roteando cantava, e dicea: «Quali
son le mie note a te che non le ’ntendi,
99tal è il giudicio eterno a voi mortali».