Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/405

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paradiso - canto xix 399

     Poi si quetaron quei lucenti incendi
de lo Spirito Santo ancor nel segno
102che fe’ i Romani al mondo reverendi,
     esso ricominciò: «A questo regno
non salí mai chi non credette ’n Cristo,
105vel pria vel poi ch’el si chiavasse al legno.
     Ma vedi: molti gridan ‘ Cristo, Cristo! ’,
che saranno in giudicio assai men prope
108a lui, che tal che non conosce Cristo;
     e tai Cristiani dannerá l’Etiope,
quando si partiranno i due collegi,
111l’uno in eterno ricco, e l’altro inòpe.
     Che potran dir li Perse a’ vostri regi,
come vedranno quel volume aperto
114nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?
     Lí si vedrá, tra l’opere d’Alberto,
quella che tosto moverá la penna,
117per che ’l regno di Praga fia diserto;
     lí si vedrá il duol che sovra Senna
induce, falseggiando la moneta,
120quel che morrá di colpo di cotenna;
     lí si vedrá la superbia ch’asseta,
che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,
123sí che non può soffrir dentro a sua meta.
     Vedrassi la lussuria e ’l viver molle
di quel di Spagna e di quel di Boemme,
126che mai valor non conobbe né volle;
     vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
segnata con un’I la sua bontate,
129quando ’l contrario segnerá un’emme;
     vedrassi l’avarizia e la viltate
di quei che guarda l’isola del foco,
132ove Anchise finí la lunga etate:
     e a dare ad intender quanto è poco,
la sua scrittura fian lettere mozze,
135che noteranno molto in parvo loco.