Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/413

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paradiso - canto xxi 407

     di color d’oro in che raggio traluce
vid’io uno scaleo eretto in suso
30tanto, che nol seguiva la mia luce.
     Vidi anche per li gradi scender giuso
tanti splendor, ch’io pensai ch’ogni lume
33che par nel ciel quindi fosse diffuso.
     E come, per lo natural costume,
le pole insieme, al cominciar del giorno,
36si movono a scaldar le fredde piume;
     poi altre vanno via senza ritorno,
altre rivolgon sé onde son mosse,
39e altre roteando fan soggiorno;
     tal modo parve me che quivi fosse
in quello sfavillar che ’nsieme venne,
42sí come in certo grado si percosse.
     E quel che presso piú ci si ritenne,
si fe’ sí chiaro, ch’io dicea pensando:
45«Io veggio ben l’amor che tu m’accenne!
     ma quella ond’io aspetto il come e ’l quando
del dire e del tacer, si sta; ond’io,
48contra il disio, fo ben ch’io non dimando».
     Per ch’ella, che vedea il tacer mio
nel veder di colui che tutto vede,
51mi disse: «Solvi il tuo caldo disio».
     E io incominciai: «La mia mercede
non mi fa degno de la tua risposta;
54ma, per colei che ’l chieder mi concede,
     vita beata che ti stai nascosta
dentro a la tua letizia, fammi nota
57la cagion che sí presso mi t’ha posta;
     e di perché si tace in questa rota
la dolce sinfonia di paradiso,
60che giú per l’altre suona sí divota».
     «Tu hai l’udir mortal sí come il viso»
rispose a me; «onde qui non si canta
63per quel che Beatrice non ha riso.