Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/414

Da Wikisource.
408 la divina commedia

     Giú per li gradi de la scala santa
discesi tanto, sol per farti festa
66col dire e con la luce che mi ammanta:
     né piú amor mi fece esser piú presta;
ché piú e tanto amor quinci su ferve,
69sí come il fiammeggiar ti manifesta.
     Ma l’alta caritá, che ci fa serve
pronte al consiglio che ’l mondo governa,
72sorteggia qui, sí come tu osserve».
     «Io veggio ben,» diss’io «sacra lucerna,
come libero amore in questa corte
75basta a seguir la provedenza eterna;
     ma questo è quel ch’a cerner mi par forte:
perché predestinata fosti sola
78a questo officio tra le tue consorte».
     Né venni prima a l’ultima parola,
che del suo mezzo fece il lume centro,
81girando sé come veloce mola;
     poi rispose l’amor che v’era dentro:
«Luce divina sopra me s’appunta,
84penetrando per questa in ch’io m’inventro,
     la cui virtú, col mio veder congiunta,
mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio
87la somma essenza de la quale è munta.
     Quinci vien l’allegrezza ond’io fiammeggio;
perch’a la vista mia, quant’ella è chiara,
90la chiaritá de la fiamma pareggio.
     Ma quell’alma nel ciel che piú si schiara,
quel serafin che ’n Dio piú l’occhio ha fisso,
93a la dimanda tua non satisfara;
     però che sí s’innoltra ne lo abisso
de l’eterno statuto quel che chiedi,
96che da ogni creata vista è scisso.
     E al mondo mortal, quando tu riedi,
questo rapporta, sí che non presumma
99a tanto segno piú mover li piedi.