Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/44

Da Wikisource.

CANTO IX

     Quel color che viltá di fuor mi pinse
veggendo il duca mio tornare in volta,
3piú tosto dentro il suo novo ristrinse.
     Attento si fermò com’uom ch’ascolta;
ché l’occhio nol potea menare a lunga
6per l’aere nero e per la nebbia folta.
     «Pur a noi converrá vincer la punga,»
cominciò el «se non... Tal ne s’offerse...
9Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga!»
     I’ vidi ben sí com’ei ricoperse
lo cominciar con l’altro che poi venne,
12che fur parole a le prime diverse;
     ma nondimen paura il suo dir dienne,
perch’io traeva la parola tronca
15forse a peggior sentenzia ch’e’ non tenne.
     «In questo fondo de la trista conca
discende mai alcun del primo grado,
18che sol per pena ha la speranza cionca?»
     Questa question fec’io; e quei «Di rado
incontra» mi rispose «che di nui
21faccia ’l cammino alcun per qual io vado.
     Vero è ch’altra fiata qua giú fui,
congiurato da quella Eritòn cruda
24che richiamava l’ombre a’ corpi sui.
     Di poco era di me la carne nuda,
ch’ella mi fece intrar dentr’a quel muro,
27per trarne un spirto del cerchio di Giuda.