Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/445

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CANTO XXVIII

     Poscia che ’ncontro a la vita presente
de’ miseri mortali aperse ’l vero
3quella che ’mparadisa la mia mente;
     come in lo specchio fiamma di doppiero
vede colui che se n’alluma retro,
6prima che l’abbia in vista o in pensiero,
     e sé rivolge, per veder se ’l vetro
li dice il vero, e vede ch’el s’accorda
9con esso, come nota con suo metro;
     cosí la mia memoria si ricorda
ch’io feci, riguardando ne’ belli occhi
12onde a pigliarmi fece Amor la corda.
     E com’io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da ciò che pare in quel volume,
15quandunque nel suo giro ben s’adocchi,
     un punto vidi che raggiava lume
acuto sí, che ’l viso ch’elli affoca
18chiuder conviensi per lo forte acume;
     e quale stella par quinci piú poca,
parrebbe luna, locata con esso
21come stella con stella si collòca.
     Forse cotanto, quanto pare appresso
alo cigner la luce che ’l dipigne
24quando ’l vapor che ’l porta piú è spesso,
     distante, intorno al punto, un cerchio d’igne
si girava sí ratto, ch’avría vinto
27quel moto che piú tosto il mondo cigne.
     E questo era d’un altro circumcinto,
e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,
30dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.