Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/68

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62 la divina commedia

     Rea la scelse giá per cuna fida
del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
102quando piangea, vi facea far le grida.
     Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
che tien volte le spalle inver Damiata
105e Roma guarda come suo speglio.
     La sua testa è di fino oro formata,
e puro argento son le braccia e il petto,
108poi è di rame infino a la forcata;
     da indi in giuso è tutto ferro eletto,
salvo che ’l destro piede è terra cotta;
111e sta ’n su quel, piú che ’n su l’altro, eretto.
     Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
d’una fessura che lagrime goccia,
114le quali, accolte, fóran quella grotta.
     Lor corso in questa valle si diroccia:
fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
117poi sen van giú per questa stretta doccia
     infin lá ove piú non si dismonta;
fanno Cocito; e qual sia quello stagno,
120tu lo vedrai: però qui non si conta».
     E io a lui: «Se ’l presente rigagno
si diriva cosí dal nostro mondo,
123perché ci appar pur a questo vivagno?»
     Ed elli a me: «Tu sai che ’l luogo è tondo;
e tutto che tu sie venuto molto
126pur a sinistra, giú calando al fondo,
     non se’ ancor per tutto il cerchio vòlto:
per che, se cosa n’apparisce nova,
129non de’ addur maraviglia al tuo volto».
     E io ancor: «Maestro, ove si trova
Flegetonta e Letè, ché de l’un taci,
132e l’altro di’ che si fa d’esta piova?»
     «In tutte tue question certo mi piaci»
rispose; «ma ’l bollor de l’acqua rossa
135dovea ben solver l'una che tu faci.