Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/93

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inferno - canto xx 87

     E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti
mi son sí certi e prendon sí mia fede,
102che li altri mi saríen carboni spenti.
     Ma dimmi, de la gente che procede,
se tu ne vedi alcun degno di nota;
105ché solo a ciò la mia mente rifiede».
     Allor mi disse: «Quel che da la gota
porge la barba in su le spalle brune,
108fu, quando Grecia fu di maschi vota
     sí ch’a pena rimaser per le cune,
augure, e diede ’l punto con Calcanta
111in Aulide a tagliar la prima fune.
     Euripilo ebbe nome, e cosí ’l canta
l’alta mia tragedia in alcun loco:
114ben lo sai tu che la sai tutta quanta.
     Quell’altro che ne’ fianchi è cosí poco,
Michele Scotto fu, che veramente
117de le magiche frode seppe il gioco.
     Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
ch’avere inteso al cuoio ed a lo spago
120ora vorrebbe, ma tardi si pente.
     Vedi le triste che lasciaron l’ago,
la spola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine;
123fecer malíe con erbe e con imago.
     Ma vienne omai; ché giá tiene ’l confine
d’amendue li emisperi, e tocca l’onda
126sotto Sibilia, Caino e le spine;
     e giá iernotte fu la luna tonda:
ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque
129alcuna volta per la selva fonda».
     Sí mi parlava, e andavamo introcque.