Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/95

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inferno - canto xx 89

     Ahi quant’elli era ne l’aspetto fèro!
e quanto mi parea ne l’atto acerbo,
33con l’ali aperte e sovra i piè leggero!
     L’omero suo, ch’era aguto e superbo,
carcava un peccator con ambo l’anche,
36e quei tenea de’ piè ghermito il nerbo.
     Del nostro ponte disse: «O Malebranche,
ecco un de li anzian di santa Zita!
39mettetel sotto, ch’i’ torno per anche
     a quella terra ch’i’ ho ben fornita:
ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturo;
42del no per li denar vi si fa ita».
     Lá giú il buttò, e per lo scoglio duro
si volse; e mai non fu mastino sciolto
45con tanta fretta a seguitar lo furo.
     Quel s'attuffò, e tornò su convolto;
ma i demon che del ponte avean coperchio,
48gridar: «Qui non ha luogo il Santo Volto:
     qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
Però, se tu non vuo’ de’ nostri graffi,
51non far sopra la pegola soverchio».
     Poi l’addentar con piú di cento raffi,
disser: «Coverto convien che qui balli,
54sí che, se puoi, nascosamente accaffi».
     Non altrimenti i cuochi a’ lor vassalli
fanno attuffare in mezzo la caldaia
57la carne con li uncin, perché non galli.
     Lo buon maestro «Acciò che non si paia
che tu ci sia,» mi disse «giú t’acquatta
60dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’àia;
     e per nulla offension che mi sia fatta,
non temer tu, ch’i’ ho le cose conte,
63e altra volta fui a tal baratta».
     Poscia passò di lá dal co del ponte;
e com’el giunse in su la ripa sesta,
66mestier li fu d’aver sicura fronte.