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Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/96

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90 la divina commedia

     Con quel furore e con quella tempesta
ch’escono i cani a dosso al poverello
69che di subito chiede ove s’arresta,
     usciron quei di sotto al ponticello,
e porser contra lui tutt’i runcigli;
72ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!
     Innanzi che l’uncin vostro mi pigli,
traggasi avante l’un di voi che m’oda,
75e poi d’arruncigliarmi si consigli».
     Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»
per ch’un si mosse, e li altri stetter fermi,
78e venne a lui dicendo: «Che li approda?»
     «Credi tu, Malacoda, qui vedermi
esser venuto» disse ’l mio maestro
81«sicuro giá da tutti vostri schermi,
     senza voler divino e fato destro?
Lascian’ andar, ché nel cielo è voluto
84ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro».
     Allor li fu l’orgoglio sí caduto,
che si lasciò cascar l’uncino a’ piedi,
87e disse a li altri: «Omai non sia feruto».
     E ’l duca mio a me: «O tu che siedi
tra li scheggion del ponte quatto quatto,
90sicuramente omai a me tu riedi».
     Per ch’io mi mossi, e a lui venni ratto;
e i diavoli si fecer tutti avanti,
93sí ch’io temetti ch’ei tenesser patto:
     cosí vid’io giá temer li fanti
ch’uscivan patteggiati di Caprona,
96veggendo sé tra nemici cotanti.
     I’ m’accostai con tutta la persona
lungo ’l mio duca, e non torceva li occhi
99da la sembianza lor ch’era non bona.
     Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi»
diceva l’un con l’altro «in sul groppone?»
102E rispondien: «Sí, fa che liele accocchi!»