Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/49

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inferno - canto x 43

     Subitamente questo suono uscío
d’una de l’arche: però m’accostai,
30temendo, un poco piú al duca mio.
     Ed el mi disse: «Volgiti, che fai?
vedi lá Farinata che s’è dritto:
33da la cintola in su tutto ’l vedrai».
     Io avea giá ’l mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
36com’avesse l’inferno in gran dispitto.
     E l’animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepolture a lui,
39dicendo: «Le parole tue sien conte».
     Com’ io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
42mi dimandò: «Chi fur li maggior tui?»
     Io ch’era d’ubbidir disideroso,
non liel celai, ma tutto liel’apersi;
45ond’ei levò le ciglia un poco in soso,
     poi disse: «Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
48sí che per due fiate li dispersi».
     «S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogni parte»
risposi lui «l’una e l’altra fiata;
51ma i vostri non appreser ben quell’arte».
     Allor surse a la vista scoperchiata
un’ombra, lungo questa, infino al mento;
54credo che s’era in ginocchie levata.
     Dintorno mi guardò, come talento
avesse di veder s’altri era meco;
57e poi che il sospecciar fu tutto spento,
     piangendo disse: «Se per questo cieco
carcere vai per altezza d’ingegno,
60mio figlio ov’è? perché non è ei teco?»
     E io a lui: «Da me stesso non vegno:
colui ch’attende lá, per qui mi mena,
63forse cui Guido vostro ebbe a disdegno».