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140 DE VULGARI ELOQUENTIA.


ricordarcelo come savio uomo di Corte, ne rafferma ch’ei fu dicitore in Lingua provenzale, e — fece un libro che si chiama il Tesoro dei Tesori, però che raccolse tutto ciò ch’era negli altri, perchè disse meglio degli altri. — Ma piu larghe notizie possono attingersene dalla Vita di Sordello, che il Perticari, avendola rinvenutanel Cod. della Vaticana 3232, la diede poi alle stampe, insieme con una celebre Serventese di quel Rimatore, scritta nel Volgare de’ Provenzali, e registrata ne’ Codici 5232 e 3207 della stessa Biblioteca. In essa poesia — si piange la morte di Blacasso, gran gentiluomo di Provenza e guerriero fortissimo. Lo sdegnoso Italiano prende quivi argomento dal valore dell’estinto Eroe per rampognare tutti i vili che regnavano in quell’età, e con fiero atto mostrava loro il cuore di quel Blacasso, volendo che que’ sciaurati ne mangino; — Cfr. Difesa di Dante di Giulio Perticari, cap. xxi. Sembra poi certo cbe Sordello sia nato in Goito nel 1184, e che morisse in età assai tarda, allorchè soggiornava alla Corte del Conte di Provenza. Checchè sia di ciò, a noi basta or di sapere, che fra le Rime in Volgare del Sì ancor non se ne conosce veruna che possa con buona ragione assegnarsi a quel sì eloquentc Trovatore. Intanto dobbiamo restar convinti cbe il nostro Poeta, sebbene lo riputasse di gran valore nel dire a proprio talento in uno o in altro de’ tre principali Volgari latini, dovette specialmente esaltarlo fra i Dicitori più segnalati nell’antico Volgare de’ Provenzali. Del resto, quando l’Allighieri s’ingegna di stabilire quale debba esser il Volgare Illustre e come intendersi per indi stimare il pregio de’ Poeti nell’adoperarlo, non fa punto differenza del Volgare Italico da quello di Francia o di Provenza: Vulg. El., ii, 6 e 12. Qualora ciò avessero meglio ripensato quanti s’affaticarono intorno a questo Libro, forse ci risparmiavano una moltitudine di congetture, se non di sterili supposizioni, lasciandoci più spedito e fruttuoso lo studio della materia che ci occupa al presente.

10. Accipiunt etiam præfati cives ab Imolensibus lenitatem atque mollitiem. Per le ragioni sopra addotte non dubito che «etenim,» e non già «etiam,» debba qui essere