Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/109

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il forte di fenestrelle 95

Umberto il Beato di Savoia, seminando sui suoi passi l’incendio e la morte. E a questa tenne dietro un’altra moltitudine in tutto diversa: i seguaci di Valdo cacciati di Francia, un affollarsi di donne, di vecchi, di giovani, di bimbi, carichi di robe, seguiti da carrette sfasciate e da giumenti sfiniti, una fuga compassionevole di miserie, d’angosce e di terrori, che si sparse e si perdè in breve tempo su per le rocce dei monti e nell’oscurità dei burroni. E poco dopo, un alto frastuono di tamburi e di trombe, un giovane re baldanzoso, dal gran cappello piumato, caracollante dinanzi a una folla di gentiluomini, una selva di lance imbandierate, cannoni e colubrine tirate da lunghe file di cavalli e spinte a forza di braccia, e picchieri, alabardieri e archibugieri, tipi normanni, picardi, guasconi, borgognoni, svizzeri, vestiti di assise strane e pompose, l’esercito splendido e insolente di Francesco I, che calava sopra Pinerolo, empiendo la valle di grida allegre e di canti. E sparito quest’esercito, un accorrere improvviso di batterie, un saltellìo concitato di cappelli a tre punte e di code di parrucca, un gridio d’ufficiali, un frastuono confuso di bestemmie piemontesi, e Vittorio Amedeo che incalzava gli artiglieri con la spada, accennando il forte di Mutino, meta di tutta quella furia di uragano. E infine, due processioni opposte di gente, che venivan di Torino e di Francia: gli ospiti forzati della fortezza; il viso spaurito del cardinal Pacca affacciato allo sportello d’una carrozza; personaggi di Stato caduti in disgrazia all’uomo fatale, pallidi e insonniti sotto le par-