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trovato, finalmente, il lato vulnerabile del Duca e della ragazza: censurava il Duca come marito, accennava vagamente alle sue amanti, una signora di Vercelli, una Doria, una Beatrice Langosco; e diceva di saperne assai più che non ne sapeva. A quelle uscite, la signorina alzava le spalle, ma corrugando la fronte e chinando il capo, e rispondeva: — Questo riguarda la Duchessa... se è vero.... — Ma le rimaneva una punta nel cuore, e non si tornava a rasserenare che riudendo la voce del Benavides, il quale le ripresentava l’eroe savoiardo nella luce pura della sua gloria.



Ma non era possibile che una signorina piemontese appassionata per Emanuele Filiberto udisse parlar lungo tempo del suo idolo un bel gentiluomo catalano di trentacinque anni, senza che le nascesse nel cuore, come un rampollo dell’antica passione, una nuova simpatia. Il Benavides aveva perduto da pochi mesi la madre che adorava. La sua tristezza, aggiunta alla naturale gravità catalana; il pallore marmoreo del suo viso regolarissimo, reso anche più pallido da una capigliatura d’un nero orientale, e da una barba poderosa che gli saliva a metà delle guance e gl’invadeva il collo e le tempie; la dignità gentile dei suoi atteggiamenti e dei suoi modi, la sua voce robusta e melodiosa, le misero a poco a poco una certa timidezza dolce nel cuore. Aveva una strana bellezza