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emanuele filiberto a pinerolo | 151 |
fredde, la madre morta, la casa solitaria, la sua cameretta povera e triste, e lei, seduta in un angolo, sola, invecchiata, senza famiglia, senza speranze, senza amore; e mentre già il cuore le si gonfiava d’un’amarezza immensa, e il pianto le stringeva alla gola, un nuovo pensiero doloroso, intollerabile, le attraversò improvvisamente quei pensieri: — il Benavides partiva fra poche ore. — Il presentimento della tristezza mortale del dì seguente, diede l’ultima stretta spietata al suo povero cuore: chinò il mento sul seno, si coperse il viso colle mani, e lasciò sgorgare, in silenzio, un’onda ardente di pianto.
In quel punto una voce strana, violenta, sgarbata, tremante di dolore e di sdegno, le gridò all’orecchio:
— Ma voi l'amate, dunque, il vostro Duca!
Evelina balzò in piedi, vide il Benavides pallido, con gli occhi ardenti, capì tutto, e un grido soffocato di amore pazzo e di gioia infinita le fuggì dalle viscere: — Enrico!
Era uno di quei gridi che rivelano in un punto la storia d’un’anima, e che non lasciano dubbi.
Il Benavides stette per un secondo attonito, come trasognato.
— Ah! cara! bella! nobile! adorata creatura! — le gridò poi, afferrandole e baciandole furiosamente le mani; — amor mio! Evelina mia! — Strappò in furia dal cappello l’anello d’oro di sua madre, lacerando i nastri e la penna, lo infilò convulsamente in un dito alla ragazza, la riafferrò per le mani, l’attirò con sè alla finestra dov’erano i bambini, e ribacian-