Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/209

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la ginevra italiana 195

signora, che attirarono la nostra attenzione. L’uomo era una figura straordinaria: poteva avere dai trentacinque ai quarant’anni: alto, robusto, una gran barba nera, la fronte ampia, due occhi neri dolcissimi, la carnagione rosea, un’espressione di grande bontà, una testa di Cristo, non so che cosa nel viso, o piuttosto nell’aria del viso, che faceva indovinare una vita sobria e serena, tutta pensieri e propositi benevoli, e un’anima semplice, ma piena di vigore e di coraggio. La signora pareva poco più che trentenne, piccolina, bruna di capelli e di viso, con due belli occhi di bimba, viva e allegra, come se partisse per una scampagnata. Eran vestiti di scuro tutti e due; il marito aveva una cravattina bianca. Si guardavano sorridendo, tratto tratto, e poi guardavano noi, con quell’espressione particolare della gente buona che riceve sempre una prima impressione favorevole dalle persone sconosciute. Non tardammo ad attaccare discorso. Dimandammo dove andavano. La loro risposta ci maravigliò molto. Andavano al Capo di Buona Speranza! In Inghilterra prima, dove si sarebbero imbarcati, e di là al Capo di Buona Speranza, e dal Capo nel paese dei Bassutos, della stirpe dei Cafri. Egli era missionario, nativo delle valli; la sua signora, figliuola d’un pastore di Torre Pellice. Il suo nome era Weitzecker. Andava a predicare il Vangelo nella parte della Basutoland non ancora convertita al cristianesimo, e aveva già imparato qualche cosa della lingua poetica e musicale di quel paese. Una casetta solitaria, abbandonata da un altro missionario