Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/211

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la ginevra italiana 197

suo avvenire; ed egli forse provava un egual sentimento per me e per la mia vita. E non aveva mica, non poteva avere nessun secondo fine quell’uomo, nè di gloria, nè di guadagno, nè d’altri vantaggi. Abbandonava la patria, i parenti, dava un addio a mille cose care, rinunziava alla vita civile, si esiliava dal mondo forse per sempre, spontaneamente, col cuore lieto, non per altro che per andar a dire a gente sconosciuta, all’estremità d’un altro continente: — Siate onesti, amatevi, perdonate, pregate, sperate! — E poc’anzi, ricordando le stragi di Pasqua, io avevo parlato di disprezzo per la natura umana. Oh grande, immensa, maravigliosa natura umana! Quelle due anime gentili e intrepide valevano bene esse sole a purgarla di cento sanguinose vergogne. Io li avrei ringraziati tutti e due del bene che mi faceva la loro vista. E non osando parlare, augurai loro affettuosamente, dentro di me, che li accompagnasse un tempo felice sul grande Atlantico, che trovassero buona accoglienza in quei paesi lontani, che vi fossero amati, che vi vivessero contenti, che non vi perdessero dei figliuoli, che potessero tornare un giorno alle loro valli, e che vi fossero festeggiati da tutti, e vi chiudessero la loro nobile vita senza dolori, amandosi sempre, e benedicendo il passato. — E mentre pensavo questo, e tacevamo tutti, essi guardavano le Alpi, disegnate in nero sul firmamento, vedendo forse col pensiero un altro orizzonte, una pianura sterminata dell’Africa, colla casetta solitaria che li aspettava.