Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/221

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le termopili valdesi 207

tristissima, più ingrata delle tenebre, che dà ai visi delle persone una pallidezza di gente spaventata. L’angolo opposto all’entrata era oscurissimo: il signor Bonnet, ritto là in fondo sopra un macigno, col moccoletto che gli rischiarava il viso di sotto in su, aveva l’apparenza d’uno spettro. Certo che doveva destare una commozione profonda il pastore dalla lunga barba bianca che da quel pulpito di roccia, al chiarore d’una fiaccola, predicava con voce sommessa alla folla, pigiata in quella specie di cripta selvaggia, in cui ciascuno poteva temere di essere entrato per non uscirne mai più. Mentre il pastore predicava o i fedeli cantavano i salmi a mezza voce, dei giovani valdesi stavano alla vedetta sulle alture vicine. Al lontano apparir delle avanguardie nemiche, davan l’avviso, e allora, giù nella grotta, si faceva un silenzio di tomba, e si stringevan gli uni agli altri, tremando e pregando col pensiero, fin che i nemici fosser passati, inoltrandosi nella valle. Ma così non seguiva sempre. Qualche volta le spie, qualche volta i cani, addestrati alla caccia dell’uomo, guidavano i soldati per il giusto sentiero; e allora le vedette accorrevano col viso esterrefatto a portar l’annunzio tremendo: le madri si stringevano i bimbi sul cuore, i padri benedicevan le famiglie, gli amici si scambiavano l’ultimo saluto, e poi, immobili, muti, col respiro sospeso, tendevan l’orecchio, raccomandando l’anima a Dio.... Ah! quel suono delle alabarde picchiate nelle rocce dell’apertura! Quelle voci tonanti che gettavan per gli spiragli il comando di uscire! Quel rumore