Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/228

Da Wikisource.
214 le termopili valdesi

cale all’aspetto, un’apparenza di gravità ascetica e di rigida pudicizia, da farvi trattenere sulle labbra una parola galante, per timore di essere rimbeccati con un versetto della Bibbia.



La via proseguiva a giravolte, sempre alla stessa altezza, passando di tratto in tratto sopra un ponticello, che accavalciava un rigagnolo precipitoso. Alle volte ci trovavamo chiusi d’ogni parte dagli alberi, come smarriti in un bosco oscuro, da cui non si vedeva più la valle. In altri punti gli alberi si diradavano, e dalla proda della via vedevamo cader giù la china lunghissima, per la quale, a lasciarsi andare, saremmo rotolati come botticelli per una mezz’ora; e giù, a una grande profondità, fra i tronchi fitti degli alberi bassi, dei pezzi del letto della valle, verdi e lisci, come tappeti di bigliardo, segnati di tante sottili esse d’argento, dall’Angrogna. In tutti quei luoghi, all’ombra del loro “albero nazionale,„ il castagno, si radunavano i valdesi, prima della fondazione dei templi, per udir la parola dei loro pastori; ed era uso, per annunziar l’arrivo del barba, — uso che dura ancora su certi monti, — di stendere un lenzuolo bianco per terra, nel punto dove il barba avrebbe pronunciato il suo sermone. In un luogo dove passammo, tutto coperto da un castagneto, e chiamato Cianforan, forse da un gruppo di case che c’era anticamente, fu tenuta l’adunanza famosa del 1532,