Sulla fine del secolo decimoquinto lo assale l’arcidiacono di Cremona, il famoso De Capitaneis, coi suoi famosi crociati; e n’esce rotto, pesto e sbaragliato, giurando di non riporvi più i piedi. Lo investe nel 1561, con un esercito, il conte della Trinità; e vi è sconfitto nel mese di febbraio, schiacciato nel mese di marzo, tagliato a pezzi nel mese d’aprile, ributtato e incalzato fino al piano, dove s’ammala di dolore e di rabbia. Tenta d’impadronirsene il marchese di Pianezza, e vi è sgominato; vi slancia le suo colonne il marchese di Fleury, e v’è disfatto. È tempo e sangue buttato via. Pra del Torno rimarrà inviolato per due secoli, dal 1488 al 1686, come una rocca inaccessibile, difesa da una forza più che umana. E cadrà nel 1686, per la prima volta; ma bisognerà che l’assalgano insieme, dopo lunghi apparecchi, la Francia e la Savoia riunite; un grande principe e un grande generale; l’esercito di Luigi XIV, movendo da Pramollo, e salendo sul colle della Vachère; l’esercito di Vittorio Amedeo, gettandosi sui monti d’Angrogna da Bricherasio, da Bibiana, da Garzigliana, da Torre Pellice; il generale Catinat coi battaglioni del Delfinato, coi presidii di Pinerolo e di Casale, con le artiglierie, coi dragoni famosi; Gabriele di Savoia, coi reggimenti di Nizza, di Savoia, di Monferrato, della Croce Bianca, con le guardie del corpo, con la cavalleria, coi gendarmi, coi volontari di Mondovì, di Barge, di Bagnolo; eccitati tutti dai capi come ad una grande impresa, carichi di munizioni, di sacchi, d’ascie e di pale come per l’assalto d’una città forte; tutta quest’ira di Dio bisognerà che si