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224 le termopili valdesi

cigni: le rocce grondano, sudano, piangono, gemono; mille voci che par che facciano a soverchiarsi, e a dir ciascuna la sua, mille note gravi, acute, argentine, trillanti, carezzevoli, lente, precipitose, empiono l’aria; un canterellìo, un gridìo, un baccano, una baldoria che stordisce, rallegra l’anima, mette fresco nel sangue e fa fremere i nervi di piacere. Non ci sentivamo più parlare, quasi. Ridevamo, senza sapere perchè, come in mezzo a una festa di ragazzi. Tutto quel chiasso ci aveva colti all’improvviso. Eravamo ben lontani dall’aspettarci un’accoglienza così gioiosa. L’acqua correva, saltellava in tale abbondanza e con tanto impeto al di sopra del nostro capo, che in certi punti c’era da temere di fare un bagno involontario, e non sarebbe stato inutile aprire gli ombrelli. La musica ci accompagnò per un pezzo, crescendo. In certi tratti pareva che si chetasse un poco; le voci dell’acqua si facevan più rare e più basse. Poi, tutt’a un tratto, alla svoltata d’una roccia, un altro scoppio più rumoroso di grida, di trilli, di vocioni del torrente, di borbottìi di fontane, di risa di cascatelle, di note profonde e cristalline rapidissime, che pareva ci volessero dire, raccontare, spiegare, persuadere qualche cosa, affannosamente; un diluvio di chiacchiere incomprensibili, da far perdere la pazienza, e gridare: — Ma sì! Ma chetatevi! Ma abbiamo capito! — E allora, per pochi momenti, si tranquillavano, e noi tornavamo a poter discorrere, senza bisogno d’urlare. Ma ecco, improvvisamente, un nuovo fragorìo, un coro altissimo e concitato di saluti