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Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/239

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le termopili valdesi 225

sonori, di chiamate, di esclamazioni, di risatine, di versi d’uccello e di tintinni di campanelli, come d’una moltitudine nascosta dietro ai macigni, tra le piante e nelle grotte, come di centinaia di donne e di bimbi, che da tutte le altezze ci apostrofassero, motteggiando il conte della Trinità, domandandoci come stava il marchese di Pianezza, ridendosi degli inquisitori e dei frati. Era un’armonia, uno spettacolo da metter voglia di batter le mani o di sventolare il fazzoletto. — Eppure, — ci diceva il Bonnet, — questa non è la migliore stagione per venir qua: bisogna venirci di maggio, quando tutte le isolette e le rive del torrente sono fiorite, e formano come un mosaico mobile di mille colori, e sui monti c’è ancora la neve, che si va squagliando. Bisogna sentire allora, che orchestra. — Oh bella, benedetta natura! Oh! voglia il cielo che non si compia l’orribile cosa da cui la valle d’Angrogna è minacciata: stian lontani di qui gli alberghi americani o inglesi, e le tavole rotonde, e le sale di lettura, e i concerti! Per un altro secolo almeno!



Andando avanti, al di là d’una bella cascata detta Gorg Nie (che può significar gorgo nero), si vedono nel letto del torrente delle incavature profonde, chiamate tompi dai valligiani, nelle quali l’acqua ristagna, alta parecchi metri, e chiara, che si vedrebbe la foglia d’un fiore nel fondo. Paiono grandi conche scavate apposta

De Amicis. Alle Porte d'Italia. 1