ghe schiere di Valdesi dai grandi cappelli e dalle chiome alla nazarena, quei vecchi armati d’archibugi, quei ragazzi con le fionde, quei giovani con le picche, quei pastori con la Bibbia, quando, prima di combattere, s’inginocchiavano tutti insieme sulle roccie, alla luce del sole nascente, alzando il viso e le mani al cielo, a dimandar a Dio la vittoria; e dietro a loro le donne e i ragazzi, che tenevan pronte le polveri e apprestavano i sassi; e più in su i vecchi cadenti, i malati, gl’invalidi, i bambini, che pregavano e piangevano, mentre giù nella valle i battaglioni si preparavano all’assalto, apostrofandoli con un coro infernale di bestemmie e di scherni! Poi sibilavano a traverso alla nebbia le palle, i sassi e le freccie, i macigni franavano, gli sfracellati urlavano, le roccie stillavan sangue, i caschi e le spade saltellavano di masso in masso, le colonne si sfasciavano e voltavan le spalle, e ruzzolavano insieme giù pei greppi e gli scoscendimenti morti, moribondi, panconi, alabarde, tamburi, alfieri, pionieri, cavalli, stendardi, mentre sulle alture dorate dal sole echeggiavano i salmi lenti e solenni della vittoria. Maledizione del cielo! Tanti bei nobili piemontesi, uffiziali prodi e ambiziosi, che speravano di raccontar le loro vittorie nei salotti di Torino, tanti giovani volontari della fede, i quali avevan creduto fermamente di andar a combattere con gli angeli al fianco, tanti avventurieri ch’erano andati là come ad una facile guerra di saccheggi e di stupri, che mortale rabbia, che angosciosa vergogna dovevan sentire nell’anima durante quelle