Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/275

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la marchesa di spigno 261

suor Teresa Innocente, che le furono di molto conforto nei primi mesi. Ma si adattò a ogni cosa con grande dolcezza. Era buona con le educande, ossequiosa con la superiora.....

— Eh bien, oui! — rispose la marchesa; — je vous ouvre mon cœur, j’avoue mes fautes. Lorsque, après la mort de mon mari.... — S’interruppe un momento, e poi ricominciò, con una strana pronunzia tra piemontese e francese, e con un poco di stento: — Ebbene, sì, lo confesso. Quando mi ripresentai alla corte dopo la morte del conte di San Sebastiano mio marito, non miravo soltanto a rialzar la fortuna dei miei figliuoli, caduti nelle strettezze; quando m’accorsi che il Re mi riamava, mi lasciai sedurre da una pazza speranza. È vero. E feci quant’era in me perchè il mio sogno s’avverasse. È anche vero. Sono stata ambiziosa, sono stata donna. Si perdonano, si scusano tante colpe d’ambizione agli uomini! Non si dovrà perdonar nulla a una donna? Sì, ho creduto di diventar regina, lo confesso, e quando intesi la notizia inaspettata dell’abdicazione, mi si gelò il sangue nelle vene, come se fosse crollata la reggia sotto i miei piedi. Ma tutto fu finito in quel punto. Quella delusione terribile mi tolse ogni speranza per sempre. È una scellerata ingiustizia l’accusarmi d’aver eccitato Vittorio Amedeo a rivocare l’abdicazione, d’averlo spinto da Chambéry a Moncalieri per ritogliere la corona al figliuolo. Non è vero. Quelli che furono primi ad accusarmene, dimenticarono di aver predetto essi medesimi, quando il re voleva abdicare, che se ne sarebbe pentito ben presto, che